domenica 4 novembre 2018

STRESS E ALIMENTAZIONE





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Spesso ci si colpevolizza della perdita di autocontrollo nel seguire una dieta; ma una 
gestione alimentare erronea è causata da circuiti cerebrali inconsci predisposti a elaborare lo stress e predisposti ad attivare comportamenti erronei.

Vi sarà capitato d’ingrassare in un periodo particolarmente stressante.
 In queste situazioni vorremmo dimagrire e non recuperare il peso perduto, ma…
La perdita di peso rapida non è una soluzione in quanto può ridurre drasticamente il metabolismo rendendo più probabile il recupero del peso
La dieta raramente produce una perdita di peso duratura, per questo molte persone rinunciano completamente alla perdita di peso.

Uno dei motivi principali per cui le persone mangiano troppo e recuperano il peso perso è che non hanno cambiato il comportamento sottostante che le porta a desiderare conforto dal cibo.
I tradizionali programmi di perdita di peso non si sono concentrati sul cambiare le reazioni allo stress che scatenano l'alimentazione incontrollata.

Lo stress fisiologico o lo "stress cerebrale" creano una miriade di cambiamenti chimici che rendono quasi inevitabile l'alimentazione incontrollata e l'aumento di peso. Molte delle lotte che le persone hanno con il cibo, hanno le loro basi nel cervello emotivo. In particolare nei circuiti che elaborano lo stress e determinano come reagiamo allo stress quotidiano. Questi circuiti sono in parti del cervello emotivo che attivano risposte automatiche e inconsce.

Ci sono periodi in cui ci troviamo bloccati, in stallo o sopraffatti. 
 Sia che reagiamo afferrando un biscotto che dandoci al superlavoro, le nostre risposte quotidiane allo stress sono determinate dalla riattivazione delle istruzioni su come rispondere che sono state codificate anni o decenni prima.

Sappiamo che nei momenti di stress, tre strutture cerebrali attivano una cascata di cambiamenti biochimici che aumentano la fame, rallentano il metabolismo e favoriscono l'accumulo di grasso:

l'amigdala ("centro della paura")

l'ipotalamo ("centro dell'appetito")

il nucleo accumbens ("centro della ricompensa")
 
L'approccio “Leggermente” consiste nel chiedere alle persone di concentrarsi su qualcosa di più positivo rispetto al conteggio delle calorie o alla misurazione delle dimensioni delle porzioni:

 identificare i momenti in cui le persone hanno l'impulso a mangiare in eccesso, momenti che indicano che il circuito è attivato e quindi può essere modificato;

utilizzare semplici strumenti emotivi per elaborare lo stress e modificare le istruzioni codificate in quel circuito per ridurre il desiderio di mangiare eccessivamente.

I circuiti specifici che innescano l'alimentazione incontrollata e altri schemi emotivi e comportamentali indotti dallo stress sono chiamati circuiti della sopravvivenza. Tutti abbiamo alcuni di questi circuiti poiché i nostri antenati cacciatori-raccoglitori sopravvissero grazie a queste istruzioni primarie: se correndo in una grotta riuscivano a sfuggire alle fauci di un leone affamato in rapido inseguimento, un circuito di sopravvivenza era codificato per garantire la riproduzione automatica di quella risposta in una simile situazione stressante.

Qualsiasi esperienza di stress emotivo, in particolare all'inizio della vita o in età adulta durante gli inevitabili periodi di sovraccarico di stress, codifica questa pulsione di sopravvivenza. Se l'abbiamo affrontata mangiando cibi contenenti zuccheri raffinati, il cervello ricorda con forza quella risposta basata sull'apprendimento associativo. 
Qualunque cosa abbiamo fatto in risposta anche a un piccolo stress emotivo, si regge e si ripete senza il nostro controllo. Pensiamo di avere cattive abitudini, mentre in realtà abbiamo alcuni circuiti o memorie di sopravvivenza che vengono riattivati.

Possiamo mangiare sano per un po', ma quando arriva lo stress il nostro circuito alimentare si attiva completamente, e non possiamo fare ciò che "dovremmo", ovvero seguire la nostra dieta. Ci arrendiamo alle istruzioni di mangiare cibi grassi e zuccheri. Siamo coinvolti in un circolo vizioso di dieta, perdita di peso, stress, alimentazione incontrollata e recupero di peso.

Hanno scoperto che questi circuiti possono essere modificati, ma solo se attiviamo intenzionalmente un momentaneo livello di stress che corrisponde al livello di stress in cui eravamo quando il circuito è stato codificato. Quindi è necessario attivare i circuiti con lo stress per poterli cambiare.

Per concludere, i nostri continui tentativi di cambiare dieta sono inefficaci se non modifichiamo le abitudini del cervello che causano lo stress che porta all'alimentazione incontrollata e al recupero del peso. Bisogna trasformare i circuiti che promuovono la reattività allo stress in circuiti che promuovono la resilienza allo stress.
 




mercoledì 24 ottobre 2018

Dimagrire? Perché no...


Il punto di partenza per dimagrire è che NON si deve smettere di mangiare, anzi, si deve imparare come mangiare correttamente. 

Iniziare una dieta fai da te spesso induce nel corpo un forte stress perché non sempre si è consapevoli di come bilanciare i nutrienti,  mangiare poco, infatti, rallenta il metabolismo stimolando il corpo a depositare scorte al primo sgarro, proprio per poter superare futuri periodi di digiuno forzato.

Mettersi a dieta vuole dire, invece, cercare il proprio personale approccio alimentare attraverso la ricerca del proprio equilibro. Fondamentale poi per dimagrire è 

NON RIMANDARE A DOMANI!!!

Se continuiamo a pensare che esista il momento giusto per metterci a dieta e ritrovare la nostra salute, il nostro benessere, la nostra bellezza, la nostra felicità, troveremo sempre una scusa valida per non iniziare:

OGGI È IL GIORNO GIUSTO PER INIZIARE IL NOSTRO CAMMINO INSIEME!!!



giovedì 18 ottobre 2018

EMOZIONI E CIBO




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Le emozioni, in inglese e-motion energy in motion ovvero energia in movimento, hanno un effetto sui nostri pensieri, comportamenti e azioni, ma anche sul nostro corpo; infatti come dice la neuroscienziata Pert, la nostra psicologia diventa la nostra biologia.

Ad esempio, sentirsi frustrati porta il respiro e il ritmo cardiaco a essere irregolare.

L’uomo è portato a esprimere gran parte delle emozioni che prova attraverso la sua relazione con il cibo. Mangiare per ragioni emotive o in relazione a stati emotivi è una delle principali cause di una relazione conflittuale con il cibo, che può sfociare, nei casi più gravi, nel binge eating disorder. Anziché esprimere le emozioni in modo fluido e funzionale, spesso si tende a soffocarle attraverso cibi “confortevoli”, che nell’immediato portano ad avvertire una sensazione piacevole, di appagamento, ma che poi genereranno un senso di colpa capace di minare l’autostima e di peggiorare lo stato di salute e la qualità di vita della persona.

Spesso le persone non sanno davvero ciò che sentono perché hanno sepolto troppo in profondità all’interno di se stesse le proprie emozioni. Le emozioni inespresse purtroppo però non scompaiono, ma si accumulano nel corpo andando a creare stati infiammatori che alla lunga possono diventare sintomi più o meno gravi. Prima o poi insomma dobbiamo “sentire”!

Non esistono emozioni buone o cattive, giuste o sbagliate, perché ogni emozione costituisce per noi un messaggio unico, in grado di aiutarci a comprendere meglio chi siamo, cosa stiamo vivendo e cosa c’è eventualmente da cambiare nella nostra vita.

Il desiderio irrefrenabile per un cibo è segno che qualcosa dentro di noi non è in equilibrio e che dobbiamo fermarci e osservare la nostra vita.

Il rapporto fra cibo ed emozioni è quindi spesso contraddittorio e tormentato, mangiare può essere un modo per punirsi e perdere il senso di quanto ci accade o un modo per volersi bene, “gustare” la vita e condividerla con gli altri…

Una delle componenti più frequentemente associate all’iperalimentazione è la fame emotiva, cioè la tendenza ad alimentarsi in risposta a stati emozionali negativi come ansia e irritabilità.

Nel meccanismo della fame nervosa il rapporto fra cibo ed emozioni sembra essere influenzato dalla capacità di riconoscere e gestire i propri stati emotivi e di reagire attivamente a eventi stressanti con efficaci strategie di coping.

Il cibo può essere un “nutrimento” a tutto tondo per il benessere psico-fisico della nostra persona, fonte di sostegno, soddisfazione e anche occasione di convivialità, intimità e scambio con gli altri. Esso è molto più che un bisogno fisiologico. Parla del nostro modo di amare e di essere amati; del nostro modo intimo di relazionarci con la vita. Chi non mangia esprime il desiderio di smettere di vivere. Chi mangia troppo esprime il bisogno di sopravvivere a una minaccia reale o immaginaria. Quello che mangiamo dice anche qualcosa su quello che proviamo. Qualsiasi cibo in buono stato dovrebbe piacerci. Tuttavia alcuni alimenti ci piacciono molto più di altri.

I problemi alimentari, spesso, si manifestano come pulsioni incontrollate verso cibi che determinano:
·         un accrescimento delle più comuni “intolleranze alimentari”
·         un calo del livello energetico
·         sintomi depressivi
·         un abbassamento della qualità della vita

Il primo segnale dell’evoluzione negativa di un atteggiamento alimentare è dato dal cambiamento del carattere e dal comportamento generale della persona.                                                                                         


venerdì 12 ottobre 2018

Autunno, tempo di dieta!!!


È arrivato ottobre e con lui l’autunno il mese della pigrizia; a chi non capita di passare la domenica sul divano, guardando un film, sotto una calda copertina e con una bollente tazza di tè?

L’autunno in realtà è il periodo migliore per mettersi a dieta, per coccolarsi e pensare al proprio benessere, alla propria salute, alla propria bellezza e recuperare una forma smagliante!


Sono diverse le ragioni per iniziare un percorso di dimagrimento: innanzitutto i chili che abbiamo preso in estate, o appena rientrati al lavoro, non ci permettono più di indossare i nostri pantaloni preferiti, forse la più grande motivazione per mettersi a dieta, di solito, poi in autunno si ricomincia la palestra, ed unire una attività fisica piacevole ad un percorso alimentare personalizzato fa raggiungere prima il peso forma, non da ultimo, i ritmi tornano ad essere “normali” per cui le occasioni per “sgarrare” si riducono quasi a zero.



giovedì 20 settembre 2018

IL BAMBINO RIFIUTA IL CIBO


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In cima alla classifica delle preoccupazioni materne, un posto d’onore è riservato all’alimentazione del pargolo.

“Non mangia!” è una sorta di ritornello tra le mamme che accompagna ogni fase della crescita del bimbo.

“Ma come mai ora fa tante storie?” è un interrogativo che assilla molte mamme e, alla fine, spesso, il “no” del bimbo a tavola viene bollato come l’ennesimo “capriccio”.

Il rifiuto del cibo è legato a una fase della crescita del bimbo che dura fino a circa 3 anni.
In sostanza, il periodo dei “NO” rispecchia il graduale processo di distacco dalla madre verso una sempre maggiore autonomia.

L’ostinazione non è un capriccio, ma un segnale positivo del percorso di crescita.

L’alimentazione non è una cosa a sé stante, è importante che sia inserita nella relazione tra bimbo e adulto. Alla base di tutto, quello che conta è la responsività materna, ovvero la capacità della mamma di rispondere ai diversi bisogni del bambino nel migliore modo possibile.

Nel periodo dello svezzamento, il piccolo è incline ad assaggiare e scoprire sapori diversi se il genitore introduce nuovi cibi in modo corretto, non forzandolo e lasciandolo pasticciare.

È importante proporre di tutto se si è convinti che sia giusto.

Se la mamma lo asseconda e lo lascia pasticciare, facilita il fatto che lui, piano piano, comprenda il suo stato e capisca se ha fame. Si percepisce autonomo e avverte anche che l’adulto ha riconosciuto questa sua autonomia.

È molto importante mettere sul tavolo una buona varietà di cibi, invitando il piccolo a scoprire gusti diversi.

Le abitudini alimentari dipendono, in grande misura, da quello che il bimbo percepisce e vede intorno a lui.

“Dare l’esempio” gioca un ruolo centrale durante ogni tappa della crescita.

domenica 9 settembre 2018

Dieta! Oddio che paura!!!





Il punto di partenza per dimagrire è che NON si deve smettere di mangiare, anzi, si deve imparare come mangiare correttamente. 

Iniziare una dieta fai da te spesso induce nel corpo un forte stress perché non sempre si è consapevoli di come bilanciare i nutrienti,  mangiare poco, infatti, rallenta il metabolismo stimolando il corpo a depositare scorte al primo sgarro, proprio per poter superare futuri periodi di digiuno forzato.

Mettersi a dieta vuole dire, invece, cercare il proprio personale approccio alimentare attraverso la ricerca del proprio equilibro. 

Fondamentale poi per dimagrire è NON RIMANDARE A DOMANI!!!

Se continuiamo a pensare che esista il momento giusto per metterci a dieta e ritrovare la nostra salute, il nostro benessere, la nostra bellezza, la nostra felicità, troveremo sempre una scusa valida per non iniziare:

OGGI È IL GIORNO GIUSTO PER INIZIARE IL NOSTRO CAMMINO INSIEME!!! CHIAMACI!

sabato 1 settembre 2018

Dal nutrirsi all’abbuffarsi: i significati psicologici del cibo

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“Col cibo si combatte l’angoscia del niente e si ripara il vuoto esistenziale” (Galimberti)

Il cibo è banalmente ciò che ci mantiene in vita, ma al contempo rappresenta significati che sono strettamente legati, in maniera differente per ognuno di noi, a un insieme di emozioni precise e ambivalenti. Può essere una gratificazione o una punizione, una scelta attraverso cui esprimere il proprio modo di essere, una difficile dipendenza da cui uscire, un piacevole conforto, un nemico da combattere… il cibo rappresenta il pensiero ossessivo di chi mette in atto comportamenti disfunzionali nel tentativo di distruggere quell’idea di “nemico/amico”, rischiando invece solo di annientare se stesso. È il caso dei disturbi del comportamento alimentare.

Il binge eating disorder è un disturbo alimentare caratterizzato da episodi ricorrenti di abbuffate spesso molto rapidamente.

Perché si parli di binge eating la persona deve sperimentare un senso di perdita di controllo durante l’assunzione del cibo. Per vergogna e imbarazzo, si tende a mangiare da soli e a nascondere il proprio problema. Il cibo è per loro un alleato scomodo, capace di consolare nei momenti più tristi o di gratificare in quelli di gioia che lascia però dietro di sé il senso di colpa dell’abbuffata e uno spiacevole residuo di chili superflui.

Il binge eating coinvolge perlopiù persone dal temperamento insicuro e indeciso, con poco spirito d’iniziativa, bassa attività esplorativa, difficoltà nell’affrontare novità, con la tendenza ad accontentarsi e a evitare nuove “sfide”, anche quando vengono in esse riconosciute possibilità di miglioramento. Il sentimento d’insoddisfazione è totalizzante e riguarda principalmente la percezione della mancata corrispondenza fra l’immagine corporea reale e quella ideale legata a costrutti sociali. Si tratta principalmente di pazienti in sovrappeso.

E’ facile sentirsi inadeguati, brutti, poco interessanti per gli altri. Il nostro pensiero costante diventa il riuscire a dimagrire, ma dobbiamo lottare contro l’impotenza e la dipendenza dalle sensazioni piacevoli che il cibo rilascia e che a volte percepiamo più forti del senso di colpa.

Porsi di fronte alla domanda “cosa provo in questo momento nel qui ed ora?” permetterebbe di percepire la nostra tristezza, la rabbia, l’insoddisfazione, il senso di scoramento; rivolgere lo sguardo ai nostri stati d’animo, significa imparare ad evitare di ricorrere al cibo, di gratificarsi mangiando.

Il peso eccessivo più difficile da lasciar andare è quello dell’obesità interiore, ma la leggerezza del ben-essere ha alcuni elementi fondamentali: “resilienza”, autostima e pensiero positivo.

La resilienza corrisponde alla capacità di rispondere agli urti della vita; la flessibilità appare una necessità di base per sviluppare risposte di adattamento creativo e benefico che nutrono e saziano il corpo e la mente.

La possibilità di poter cambiare in maniera sana e “nutriente” permette all’autostima di crescere e di conseguenza di vedere le cose in maniera più concreta e costruttiva.

Possiamo cambiare il nostro sguardo sulle cose e su noi stessi e scoprire la meravigliosa unicità, quella bellezza che ci distingue dal resto del genere umano.



giovedì 30 agosto 2018

La fame emotiva: motivi psicologici dietro il bisogno di mangiare


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La fame emotiva, data da questioni psicologiche e non fisiologiche, è la ragione per cui il 95% delle nostre diete fallisce. Non riusciamo a perdere peso e a controllarci perché siamo emotivamente affamati.

Torniamo a casa la sera stanchi e stressati dalla giornata appena trascorsa. Abbiamo una gran fame!

Che differenze ci sono tra fame fisica e fame emotiva?

La fame fisica, la fame propriamente detta, è un segnale che il nostro corpo ci invia, durante l’arco della giornata, quando le sue riserve di energia si stanno esaurendo. Siamo in grado di identificare facilmente il momento in cui abbiamo davvero fame, dopo aver passato varie ore a digiuno, ma vale lo stesso per la fame emotiva?

La fame emotiva è un impulso che proviene dalla nostra “testa” e non dal nostro corpo che ci spinge a mangiare per “distrarci” da stati emotivi disturbanti o intollerabili. Cerchiamo di affogare nel cibo lo stress, la tristezza, l’ansia, la solitudine, ma a lungo andare il nostro stato d’animo peggiora.

Anzitutto l’impulso a mangiare si manifesta a dispetto dei segnali che il nostro stomaco ci manda.

Alcuni aspetti della fame emotiva:
  •  Siamo colti da voglie improvvise. Di solito si mangia cibo poco nutriente e molto calorico, oppure alimenti ricchi di grassi saturi.
  • Siamo insaziabili. In caso di fame emotiva, mangiamo senza sosta, fino a scoppiare.
  • Cerchiamo di colmare un vuoto.
  • Ci abbuffiamo in solitudine. Spesso è proprio la solitudine il fattore scatenante, anche se la fame emotiva può manifestarsi in occasioni quali matrimoni o compleanni.
  • Ci sentiamo in colpa. Dopo esserci abbuffati, ci sentiamo in colpa e vogliamo autopunirci per non aver saputo mantenere il controllo.
  • Mangiare è un atto impulsivo. Compriamo qualsiasi cosa ci piaccia.
  • Mangiamo per sfuggire alle nostre responsabilità. Dentro di noi sappiamo di non aver compiuto il nostro dovere e l’ansia non tarda a bussare alla nostra porta per farci compagnia.



Per combattere la fame nervosa occorre reimparare ad ascoltare i segnali che il nostro corpo ci manda, ma non solo: l’urgenza della fame emotiva può essere allontanata solo se impariamo a riconoscere le emozioni del momento e ad attuare altre strategie per gestirle.

Il nostro organismo è estremamente saggio e segnala dove sta il problema e quindi la soluzione: non è tanto nella quantità di calorie da introdurre, quanto nella sfera delle emozioni, di cui occorre occuparsi.

È evidente che il cibo è un rimedio inappropriato per placare le emozioni sgradevoli che accompagnano conflitti lavorativi o delusioni sentimentali, ecc.

Per soddisfare la fame emotiva senza dover saccheggiare il frigo:
  • Pensa ad altro! Un buon libro, una serata in compagnia fuori casa al cinema o a teatro.
  • L’esercizio fisico. Il fatto di vederci più tonici e in forma ha effetti benefici sulla nostra autostima, ci fa sentire più sicuri di noi stessi (con conseguenze indirette di miglioramento in ambito sociale).
  • Imbroglia il tuo appetito. Invece dell’ennesima caramella, proviamo a succhiare una fetta di limone o a mettere in bocca un cubetto di ghiaccio.
  • Impariamo ad amare noi stessi. Circondiamoci di amici fidati, di persone solari e positive, costruiamo un patrimonio di ricordi felici a cui attingere quando ci sentiamo giù di corda, scegliamo un modo diverso dal cibo per premiarci o consolarci.


sabato 18 agosto 2018

L’importanza di una corretta idratazione


L’acqua è presente in ogni cellula del nostro corpo e partecipa a tutte le reazioni che in esso si svolgono; è quindi il nutriente indispensabile per il nostro organismo il cui stato di salute può essere gravemente compromesso anche per variazioni modeste del suo contenuto idrico; mentre il digiuno da alimenti solidi può essere protratto per vari giorni, il digiuno di acqua può essere sopportato solo per qualche giorno. 

Il contenuto di acqua del corpo umano varia notevolmente con l’età ed il sesso; il ricambio idrico giornaliero dell’adulto rappresenta all’incirca il 6% del suo contenuto idrico corporeo. 

L’acqua ha diverse funzioni:
- favorisce l'eliminazione delle sostanze di rifiuto dall'organismo in quanto aumenta l'escrezione di urina e sudore
- favorisce lo sviluppo muscolare in soggetti che pratichino attività fisica 
- ha un effetto "estetico" in quanto l'acqua conferisce forma e rigidità ai tessuti
- consente di mantenere adeguatamente umide le superfici di: naso, occhi, orecchie. 
- favorisce una adeguata lubrificazione delle articolazioni.

La quantità di acqua da consumare al giorno è compresa tra i 6 bicchieri e i 10 bicchieri. 

Il consumo medio può essere ottenuto consumando, per esempio: un bicchiere di acqua prima di colazione, due bicchieri di acqua a pranzo, due bicchieri di acqua a cena e mezzo litro di acqua lontano dai pasti.

mercoledì 8 agosto 2018

B.I.V.A. ovvero Analisi Vettoriale di Bioimpedenza


La Bioimpedenziometria, eseguita durante la prima visita e durante i successivi controlli, è un esame di tipo bioelettrico, rapido e non invasivo, che permette di valutare la composizione corporea di un soggetto, il suo stato nutrizionale, e i suoi cambiamenti in seguito al programma alimentare.

Un aspetto prioritario, per chi vuole stare in salute, anche se normopeso, per chi vuole tornare in forma o migliorare la performance sportiva, è quello di conoscere la propria composizione corporea. Essa è infatti strettamente collegata al nostro stato nutrizionale, quindi al grado di benessere nonché al rischio di malattia.

La bioimpedenziometria è una delle analisi maggiormente accreditate e valide nell’ambito della diagnostica nutrizionale, si tratta di un esame qualitativo sensibile e specifico dei due parametri fondamentali della nutrizione: l’idratazione e la presenza di una massa proteica sufficiente.

Si tratta di una tecnica indolore e sicura che può essere eseguita sia su individui sani che affetti da patologia, in qualunque stato fisiologico (gravidanza), di età compresa tra 2 e 85 anni.

Si fa passare una corrente alternata, impercettibile, di bassissima intensità (400 µA) ed alta frequenza (monofrequenza 50 KHz) attraverso quattro elettrodi cutanei (una coppia sul dorso della mano e una sul dorso del piede sul soggetto disteso, vestito, in posizione supina), la quale, viaggiando lungo il corpo, incontrerà resistenze diverse a seconda della composizione dei vari distretti corporei.

Grazie ad un software dedicato (Bodygram plus, ultima versione, 2018) l’ analizzatore BIA 101 Akern consente di eseguire l’analisi vettoriale d’impedenza tramite nomogramma Biavector™ che, essendo una misura diretta e non una stima, offre al Biologo Nutrizionista uno schema interpretativo immediato circa lo stato d’idratazione e di nutrizione (massa corporea) del soggetto.



È qui la chiave di tutto. Con l’analisi vettoriale abbiamo misure dirette, non stime derivate da algoritmi, ma valori reali, riportati su un grafico, validato clinicamente con oltre 20 anni di studi scientifici effettuati tutti con analizzatori Akern. Ed è proprio l’interpretazione corretta dei grafici che è la chiave per ottenere i risultati migliori, indirizzando le scelte, e con esse il paziente, verso le soluzioni migliori.



La BIVA ha applicazione in differenti campi:

Dimagrimento, 
Riabilitazione nutrizionale,
Sottopeso,
DCA,
Cardiologia,
Dialisi,
Sport, performance e supercompensazione,
Gravidanza.

martedì 7 agosto 2018

ACT – Accepatance and commitment therapy


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L’ACT è una terapia comportamentale che mette in discussione le regole di base del mainstream della psicologia occidentale. È un intervento psicologico e psicoterapeutico sviluppato all’interno di una cornice teorica e filosofica coerente e basato su evidenze sperimentali.

L’ACT prende in considerazione alcuni concetti non convenzionali:
  • la sofferenza psicologica è normale, è importante e accompagna ogni persona
  • non è possibile sbarazzarsi volontariamente della propria sofferenza psicologica
  • il dolore e la sofferenza sono due diversi stati dell’essere
  • non bisogna identificarsi con la propria sofferenza
  • si può vivere un’esistenza dettata dai propri valori, ma per farlo si dovrà imparare come uscire dalla propria mente ed entrare nella propria vita

I metodi di cui si avvale forniscono nuove modalità per affrontare le difficoltà di natura psicologica e cercano di cambiare l’essenza dei problemi psicologici e l’impatto che essi hanno nella vita.

L’Acceptance and commitment therapy si basa su 3 punti fondamentali:
  • mindfulness: è un modo di osservare la propria esperienza che è stato praticato in oriente attraverso varie forme di meditazione;
  • accettazione: si basa sulla nozione che tentando di sbarazzarsi del proprio dolore si arriva solamente ad amplificarlo;
  • impegno nell’azione: quando si è coinvolti nella lotta contro i problemi psicologici spesso si mette la vita in attesa.
Secondo l’ACT ciò che promuove il cambiamento e il benessere psicologico sono abilità di “contatto consapevole” con il momento presente e impegno.

Obiettivo dell’ACT è di aiutare il paziente a scegliere di agire in modo efficace (comportamenti concreti in linea con i propri valori) in presenza di eventi privati difficoltosi o interferenti. Questo si traduce in una riduzione della sintomatologia, ma come conseguenza di tale cambiamento di prospettiva e non come obiettivo primario.

L’ACT ha un’efficacia provata sperimentalmente su una vasta gamma di condizioni cliniche ed esistenziali: stress lavorativo, dolore cronico, fumo, ansia, depressione, abuso di sostanze, schizofrenia, disturbo borderline di personalità, tricotillomania, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo d’ansia generalizzato, gestione del peso e dello stigma legato all’obesità, disturbo post traumatico da stress.

Secondo il “modello ACT” la sofferenza psicologica è concettualizzata come un problema di iperfocalizzazione sull’evitamento degli stati interni (l’evitamento esperienziale) e sulla rinuncia all’investimento sui propri autentici scopi. Per evitamento esperienziale intendiamo la non disponibilità da parte della persona di rimanere in contatto con particolari esperienze personali, come sensazioni fisiche, emozioni, pensieri, ricordi… Questa non disponibilità si traduce in una messa in atto di comportamenti specifici per modificare l’impatto di questi eventi e i contesti che li provocano. Il tentativo di controllo degli eventi interni non fa altro che intensificarne la portata. 

Nel disturbo ossessivo-compulsivo i pazienti elaborano rituali complessi nel vano tentativo di tenere a bada l’ansia provocata dalle loro ossessioni (pensieri e immagini), si condizionano la vita pur di non sperimentare quell’ansia. L’ACT propone di contrastare questo evitamento con l’accettazione dell’esperienza, l’accoglimento non giudicante di ciò che si vive interiormente, senza l’assillo del controllo né della spiegazione.

Un altro aspetto importante dell’ACT è la rilevanza che essa dà ai valori personali. L’ACT aiuta quindi le persone a chiarire a se stesse, cos’è importante per loro, che persone vogliono essere, cos’ha veramente significato e valore e cosa vorrebbero realizzare nella vita. L’ACT può quindi essere sintetizzata come segue:

Accept your reactions and be present (accetta le tue esperienze interiori e sii presente a te stesso)
Choose a valued direction (scegli una direzione di valore)
Take action (agisci)

Presentiamoci: Dott.ssa Federica Corbino





“Entrare in contatto con il mistero dell’altro e aiutarlo al suo disvelarsi è la ricchezza di un intervento che va in profondità, e che alimenta la mia motivazione a svolgere questo lavoro”

Mi sono laureata con lode in Psicologia a Bologna nel 2008 e in seguito mi sono specializzata in Psicoterapia facendo la scuola di Psicodramma analitico. È stato un percorso formativo e personale molto appassionante e arricchente umanamente e professionalmente.

La mia indole introspettiva e riflessiva, l’aver vissuto situazioni di sofferenza, i miei tratti depressivi e l’interesse per il mondo psicologico mio e altrui mi hanno condotto a intraprendere questa professione, scoprendo che la capacità di ascoltare è l’arte della mia vita. 

Gli studi di psicologia mi hanno permesso di acquisire una serie di competenze che vanno dall’osservazione del comportamento fino alla fisiologia del cervello. Comprendere il funzionamento della mente umana aiuta a definire i motivi di molti comportamenti, sia normali che patologici. 

Le difficoltà con cui ciascuno di noi si confronta mi hanno sempre spinto a interrogarmi sul perché scaturiscano certi malesseri piuttosto che altri, avvicinandomi a una comprensione quasi istintiva, spontanea dell’altro. 

Occorre guardare con indulgenza alle nostre ferite non del tutto rimarginate, perché grazie ad esse offriamo alla persona in situazione di sofferenza ciò che appartiene al nostro mondo interno. Ovviamente tutto ciò non basta per offrire un aiuto competente e professionale. L’abilità dello psicologo risiede anche nella capacità empatica, nell’ascolto, nell’esperienza, nella sensibilità e nel tatto.

“Caratteristiche” principali per poter essere una psicologa-psicoterapeuta è di avere tratti depressivi, narcisisti, ossessivi ed essere fondamentalmente curiosa. La mia sensibilità e la mia empatia derivano per forza di cose dai miei aspetti più depressivi, mentre la mia sicurezza di potere aiutare le persone evidenziano i miei tratti più narcisisti; allo stesso modo la necessità di catalogare, etichettare e diagnosticare toccano i miei tratti più ossessivi.

Nel momento in cui ci si rivolge a uno psicologo-psicoterapeuta, contrariamente a ciò che si pensa, non è la nostra parte più debole ad attivarsi, ma è quella più forte e sana ad avere il sopravvento: ci si rende conto di trovarsi in una situazione di disagio, e nello stesso tempo si riconosce che è possibile realizzare il diritto di poter stare bene, di poter accedere a uno stato di benessere psico-fisico. 
Rappresenta consapevolezza dei propri limiti e la scelta di volerli trasformare in risorse.

Il rapporto psicoterapeuta-paziente è un rapporto fra due persone che non si sono mai conosciute prima, un rapporto dove l’individuo, che vuole sciogliere i nodi delle sue sofferenze, viene accolto senza pregiudizi e visto con occhi nuovi. Si sceglie un guaritore esterno con cui la persona può verbalizzare i propri vissuti. 

È un cammino faticoso quello di realizzare se stessi, di diventare ciò che si è: il fatto di nascere biologicamente non implica parallelamente la nascita psicologica della persona. A volte, l’individuazione del sé deve avvenire nell’”humus fertile” che il contesto terapeutico è in grado di offrire.

domenica 5 agosto 2018

Presentiamoci: Dott.ssa Francesca Calandriello


Iniziamo a presentarci, così giusto perché mi conosciate....



Ho avuto, e lo dico senza grossi problemi ormai, un rapporto col cibo molto strano...



Figlia di mamma bolognese e padre salernitano, ho passato l'infanzia tra piatti di tortellini e mortadella e peperoni e pomodori sempre presenti quasi ad esorcizzare la bolognesità.




Sono cresciuta andando nell'orto con mio nonno e, non ridete, portando in giro 3 pecore, di cui una legata alla corda che guidava le altre...sì, davvero....


Con mio fratello un giorno abbiamo battezzato 2 conigli, Susan e Charlie...non chiedetemi che fine abbiano fatto, perché dubito che siano morti di vecchiaia...

Mi sono divertita a fare la passata di pomodoro con mia mamma, a vendemmiare l'uva con mio nonno, a dare da mangiare agli animali con mio fratello, a seguire mio babbo mentre aggiustava gli attrezzi agricoli, perché sì, sono cresciuta selvatica in campagna!!!

Ricordo che la mia maestra delle elementari non aveva grande stima di chi abitava in campagna, poi però, rivista anni più tardi, invidiava la rurale pensione di mia madre tra giardino, orto e animali.

Ricordo anche le patate lesse con il sale di mio nonno, le uova con la maionese di mia nonna, i pranzi di Natale e Pasqua tutti insieme, tanto che anni dopo, quando i miei nonni sono venuti a mancare, una delle cose che mi sono portata nella mia nuova casa è stato proprio il tavolo su cui si facevano i "pranzi delle feste".

Ognuno di noi ha un passato che ricorda con nostalgia,
ognuno di noi ha ricordi che lo accompagnano sempre,
ognuno di noi ha costruito il suo personale rapporto col cibo,
ognuno di noi può sempre cambiare!!!


Il cibo può essere un "incubo", ma il cibo può essere anche il nostro migliore alleato!!!

Ecco perché  faccio questo meraviglioso lavoro!!! 

Perché posso aiutarvi a rendere il cibo il vostro migliore alleato

IMMAGINE CORPOREA

Il concetto di immagine corporea è stato oggetto d’interesse in primo luogo da parte dei neurologi, ambito in cui nasce tale concetto, e...