sabato 1 settembre 2018

Dal nutrirsi all’abbuffarsi: i significati psicologici del cibo

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“Col cibo si combatte l’angoscia del niente e si ripara il vuoto esistenziale” (Galimberti)

Il cibo è banalmente ciò che ci mantiene in vita, ma al contempo rappresenta significati che sono strettamente legati, in maniera differente per ognuno di noi, a un insieme di emozioni precise e ambivalenti. Può essere una gratificazione o una punizione, una scelta attraverso cui esprimere il proprio modo di essere, una difficile dipendenza da cui uscire, un piacevole conforto, un nemico da combattere… il cibo rappresenta il pensiero ossessivo di chi mette in atto comportamenti disfunzionali nel tentativo di distruggere quell’idea di “nemico/amico”, rischiando invece solo di annientare se stesso. È il caso dei disturbi del comportamento alimentare.

Il binge eating disorder è un disturbo alimentare caratterizzato da episodi ricorrenti di abbuffate spesso molto rapidamente.

Perché si parli di binge eating la persona deve sperimentare un senso di perdita di controllo durante l’assunzione del cibo. Per vergogna e imbarazzo, si tende a mangiare da soli e a nascondere il proprio problema. Il cibo è per loro un alleato scomodo, capace di consolare nei momenti più tristi o di gratificare in quelli di gioia che lascia però dietro di sé il senso di colpa dell’abbuffata e uno spiacevole residuo di chili superflui.

Il binge eating coinvolge perlopiù persone dal temperamento insicuro e indeciso, con poco spirito d’iniziativa, bassa attività esplorativa, difficoltà nell’affrontare novità, con la tendenza ad accontentarsi e a evitare nuove “sfide”, anche quando vengono in esse riconosciute possibilità di miglioramento. Il sentimento d’insoddisfazione è totalizzante e riguarda principalmente la percezione della mancata corrispondenza fra l’immagine corporea reale e quella ideale legata a costrutti sociali. Si tratta principalmente di pazienti in sovrappeso.

E’ facile sentirsi inadeguati, brutti, poco interessanti per gli altri. Il nostro pensiero costante diventa il riuscire a dimagrire, ma dobbiamo lottare contro l’impotenza e la dipendenza dalle sensazioni piacevoli che il cibo rilascia e che a volte percepiamo più forti del senso di colpa.

Porsi di fronte alla domanda “cosa provo in questo momento nel qui ed ora?” permetterebbe di percepire la nostra tristezza, la rabbia, l’insoddisfazione, il senso di scoramento; rivolgere lo sguardo ai nostri stati d’animo, significa imparare ad evitare di ricorrere al cibo, di gratificarsi mangiando.

Il peso eccessivo più difficile da lasciar andare è quello dell’obesità interiore, ma la leggerezza del ben-essere ha alcuni elementi fondamentali: “resilienza”, autostima e pensiero positivo.

La resilienza corrisponde alla capacità di rispondere agli urti della vita; la flessibilità appare una necessità di base per sviluppare risposte di adattamento creativo e benefico che nutrono e saziano il corpo e la mente.

La possibilità di poter cambiare in maniera sana e “nutriente” permette all’autostima di crescere e di conseguenza di vedere le cose in maniera più concreta e costruttiva.

Possiamo cambiare il nostro sguardo sulle cose e su noi stessi e scoprire la meravigliosa unicità, quella bellezza che ci distingue dal resto del genere umano.



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