sabato 29 febbraio 2020

IMMAGINE CORPOREA



Il concetto di immagine corporea è stato oggetto d’interesse in primo luogo da parte dei neurologi, ambito in cui nasce tale concetto, e poi dei comportamentisti che si sono cimentati nel cercare una chiara spiegazione a tale costrutto.
L’immagine corporea, ovvero la rappresentazione che abbiamo di noi stessi, è fortemente influenzata dai nostri stati interni, che portano alla formazione di un’immagine legata a uno stato emotivo. Le emozioni rendono questa rappresentazione mentale positiva o negativa.
L’immagine corporea è influenzata da schemi precoci che si generano da quando si è molto piccoli nell’interazione con la madre.
Nell’immaginario collettivo con il termine immagine corporea si tende a individuare la propria fisicità, legata al concetto del bello, volta ad attirare l’attenzione dell’altro. Avere un’immagine corporea interessante aiuta a mantenere alta la propria autostima aumentando anche il senso di efficacia personale percepito.
I soggetti con disturbo dell’alimentazione hanno solitamente un’immagine corporea alterata: infatti sono esageratamente focalizzati sulla forma e sul peso corporeo, tanto che il loro senso di stima personale e la valutazione che danno di se stessi sono strettamente vincolati all’apparenza fisica.
Alcune persone che soffrono di disturbi dell’alimentazione non riescono a percepire il loro corpo come realmente è: si vedono o si sentono grassi anche quando hanno un peso normalissimo o addirittura quando sono gravemente sottopeso.
Un ampio numero di indagini ha confermato il ruolo rilevante del disturbo dell’immagine corporea come fattore scatenante, di mantenimento e di ricaduta dei DCA.

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mercoledì 11 dicembre 2019

Teoria cognitivo- comportamentale transdiagnostica



La CBT-E (terapia cognitivo-comportamentale potenziata) si basa sulla teoria cognitivo comportamentale transdiagnostica dei disturbi dell’alimentazione. Cognitivo comportamentale significa che la teoria analizza principalmente i processi cognitivi e i comportamenti implicati nel mantenimento dei disturbi dell’alimentazione.
Transdiagnostica significa che la teoria è applicabile con minime modifiche a tutte le categorie diagnostiche dei disturbi dell’alimentazione.
Mentre le persone si valutano generalmente in base alla percezione delle loro prestazioni in una varietà di domini della loro vita (per esempio, relazioni interpersonali, scuola, lavoro, sport, abilità intellettuali e genitoriali, ecc.), quelle affette da disturbi dell’alimentazione si valutano in modo esclusivo o predominante in base al controllo che riescono a esercitare sul peso o sulla forma del corpo o sull’alimentazione.
L’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo è considerata la psicopatologia specifica e centrale, perché da essa derivano direttamente o indirettamente le principali caratteristiche cliniche dei disturbi dell’alimentazione.
Essa va distinta dall’”insoddisfazione corporea”, cosa che è di comune riscontro nelle persone occidentali, ma non rappresenta nella maggior parte dei casi un problema clinico.
Gli individui che si giudicano prevalentemente in conformità a un singolo dominio rischiano il crollo del loro intero sistema di autovalutazione quando le cose non vanno bene all’interno dello stesso (per esempio quando non riescono a perdere peso o aumentano di peso).
L’impegno prioritario dedicato a controllare il peso e la forma del corpo marginalizza inevitabilmente altre aree importanti della vita  (per esempio la prestazione scolastica o lavorativa e le relazioni),  che di solito contribuiscono allo sviluppo di un sistema di autovalutazione funzionale, stabile e ben bilanciato.
L’unico comportamento non legato direttamente all’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo dell’alimentazione è l’episodio bulimico.
Le varie manifestazioni cliniche dei disturbi dell’ALIMENTAZIONE, a loro volta, mantengono in uno stato di continua attivazione lo schema di autovalutazione disfunzionale e, insieme ad esso, costituiscono i cosiddetti fattori di mantenimento specifici (perché sono presenti solo nei disturbi dell’alimentazione).

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La CBT-E
La CBT-E usa in modo flessibile strategie e procedure terapeutiche in sequenza per affrontare la psicopatologia individuale del paziente. Il paziente è incoraggiato a diventare un attivo partecipante nel processo di cura e a vedere il trattamento come priorità. La CBT-E adotta una varietà di procedure generiche cognitive e comportamentali, ma favorisce l’uso di cambiamenti strategici nel comportamento per ottenere dei cambiamenti cognitivi.
Con i pazienti che non sono significativamente sottopeso, la CBT-E generalmente prevede un appuntamento iniziale per la valutazione diagnostica seguito da 20 sedute di 50 minuti da svolgersi in 20 settimane. Nella fase 1, che dura 4 settimane, il trattamento prevede due sedute alla settimana ed è focalizzato per raggiungere una comprensione condivisa del disturbo dell’alimentazione del paziente e dei processi che appaiono mantenerlo.
Nella fase due le sedute sono effettuate a cadenza settimanale. In questa fase della CBT-E, che dura una o due sedute, sono rivisti in dettaglio i progressi effettuati nelle prime 4 settimane e viene progettata la fase 3 in cui le sedute sono focalizzate sui processi centrali che stanno mantenendo la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione del paziente. Con alcuni pazienti possono essere affrontati anche alcuni meccanismi di mantenimento aggiuntivi, come il perfezionismo clinico, la bassa autostima nucleare e le difficoltà interpersonali.
Verso la fine della fase 3 e nella fase 4 sono implementate procedure per minimizzare il rischio di ricaduta a breve e a lungo termine.

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mercoledì 20 novembre 2019

COMFORT FOOD: QUANDO IL CIBO EMOZIONA E DIVENTA RICORDO


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Una petite madeleine e si risvegliano improvvisamente ricordi dell’infanzia. Così accade che un dolce francese diventi il catalizzatore dell’opera di Proust “A la recherche du temps perdu”. Oggi spesso il cibo perde il suo senso più stretto di alimento e diventa qualcosa d’altro: una ricerca di un momento perduto, di un attimo passato che, grazie al gusto, torna alla mente. Il comfort food innanzitutto è condivisione attraverso le papille gustative. Succede che il cibo diventi ricordo. Il cibo è quindi spesso veicolo di innamoramenti, ma anche il nutrire (e non l’essere nutriti) può far nascere sentimenti. Il cibo non è solo innamoramento, ma è anche aiuto importante nei momenti difficili e di maggior tensione.
Semplice e genuino o junk food e pieno di grassi, il comfort food spesso ci ricorda l’infanzia, ci coccola e scalda il cuore nei momenti “no” della nostra vita.
Da buoni italiani il nostro comfort food può essere la torta della nonna, il polpettone della zia, la minestrina della mamma, ma anche una grande coppa di gelato mangiata davanti alla TV o un hamburger pieno di grassi consumato camminando tra le vetrine di un centro commerciale.
È il cibo che gratifica, rassicura, consola, calma, a volte anestetizza i momenti di profonda tristezza.
Il concetto di comfort food è nato negli anni settanta in USA ed è piuttosto difficile da tradurre in italiano.
I comfort food sono sapori consolatori e spesso nostalgici e più che un cibo si può considerare una manna dal cielo, soprattutto dopo una giornata no.
Il comfort food è figlio della comfort zone, ovvero una condizione mentale in cui una persona agisce in uno stato di assenza di ansietà.
Ogni persona confida le proprie debolezze, sopperisce alle proprie mancanze in un piatto particolare, perché legato a sensazioni del tutto particolari.
Il cibo non rappresenta, per noi umani, soltanto un mero strumento di sopravvivenza fisica: assegniamo inevitabilmente tutto un complesso di significati sociali e affettivi al cibo, tant’è che, lo diceva già Levi-Strauss, ciò di cui ci nutriamo non è mai solo buono da mangiare, ma necessariamente anche “buono da pensare”.
Nella vita adulta, un buon indicatore della salute psicologica e della capacità di gestire le emozioni e gli stress non è data tanto dal tipo di strategia che adottiamo per sentirci meglio, ma soprattutto da quante modalità diverse e variegate possiamo adottare per affrontare le difficoltà e darci conforto. Tante attività possono essere di conforto e, se lo sono realmente, ci lasciano uno stato d’animo più sereno con il quale ci sentiremo più in grado di affrontare la situazione. Quando i comfort food rappresentano invece una dipendenza, dopo un temporaneo sollievo lasciano generalmente sensi di colpa.
In generale, quando siamo dipendenti dai comfort foods stiamo soltanto “mangiando” le nostre emozioni per non sentire ciò che ci disturba allontanandoci sempre più dal vero problema e mettendoci nelle condizioni più difficili per affrontarlo.
Quando il mangiare diventa il primo meccanismo per affrontare le emozioni, quando il primo impulso è quello di aprire il frigo perché siamo stressati, turbati, stanchi o arrabbiati, vuol dire che si è attivato un pessimo circolo vizioso in cui i sentimenti non vengono affrontati nel modo giusto.

domenica 10 novembre 2019

Il piacere del cibo, il cibo del piacere


Mangiare è uno dei piaceri della vita e, quando ci è possibile, consumiamo gli alimenti che ci piacciono. L'attrazione verso un alimento non è legata solo al suo sapore, ma dipende anche dalla fame che abbiamo, dai ricordi legati a quel cibo, dalle persone con cui eravamo..., ma non è solo questione di gusto o memoria, è stato dimostrato che mangiare i propri cibi preferiti può stimolare il rilascio di ß-endorfine che esaltano l'umore.

In altre parole, l'alimento giusto, al momento giusto, con la giusta compagnia ci fa sentire bene.



A volte, però, ci colgono voglie alimentari o il desiderio ardente di mangiare un cibo in particolare, sembra, secondo un sondaggio, che le persone che hanno riferito di essere prese da voglie alimentari varino tra il 60 e il 90%, inoltre è da notare che uomini e donne attribuiscono, a queste voglie, comportamenti ed emozioni contrastanti: gli uomini pensano che le voglie alimentari scaturiscano dalla fame, mentre è più facile che le donne le attribuiscano ad umori negativi come la noia e lo stress. Le donne sono inoltre più portate a provare sentimenti negativi, quali i sensi di colpa e i rimorsi, se hanno ceduto alla tentazione.


Spesso, però, il desiderio di un certo alimento nasce dal fatto che quel cibo in particolare è considerato vietato, come il cioccolato, e se quell'alimento viene evitato consapevolmente (perché fa ingrassare!!!), il desiderio di mangiarlo diventa sempre più forte fino a quando non si cede alla tentazione, ma dopo averlo mangiato, ovviamente, iniziano i sensi di colpa e il rimorso e si decide di non mangiarlo MAI più.


Gli effetti dei singoli nutrienti e degli alimenti che sono stati ampiamente studiati, ma, fino ad ora, non è stato raggiunto un accordo chiaro riguardo l'effetto di questi nutrienti sulle nostre reazioni comportamentali, per esempio, il numero di ricerche che dimostrano che l'assunzione di carboidrati determina sensazioni di rilassatezza e sonnolenza è uguale a quello degli studi che non trovano alcuna prova di tale influenza.

È, inoltre, possibile che le persone reagiscano in modo diverso a determinati nutrienti come succede, ad esempio, con la caffeina: la sensibilità alla caffeina sembra variare da individuo a individuo, alcune persone possono bere nell'arco di poche ore diverse bevande contenenti caffeina e non avere alcun effetto, mentre altre avvertono effetti stimolanti anche dopo una sola dose.
Quindi, mentre potrebbe esserci un'interazione tra il cibo e la chimica del corpo, non dobbiamo sottovalutare l'impatto psicologico e i condizionamenti che possono derivare dal nostro comportamento alimentare, per esempio, se il consumo di un particolare alimento o bevanda di solito migliora il nostro umore, questo potrebbe accadere perché ci aspettiamo tale reazione anche se non è presente in quel cibo alcun ingrediente che la stimoli?



Non ci sono dubbi sul fatto che il sapore del cibo e il piacere di mangiare possano migliorare l'umore e il benessere. Ma i notevoli effetti positivi derivanti dal mangiare "cibi dannosi ma buoni" sono spesso minati dal senso di colpa, per cui la cosa più importante è liberarsi da ogni senso di colpa relativo al mangiare. 
Per fare ciò le persone devono risolvere il loro rapporto con il cibo e sviluppare comportamenti alimentari sani e realistici...ecco quello che offre il progetto LeggerMente il tuo peso forma per sempre!



mercoledì 6 novembre 2019

Dimagrire è una questione di metabolismo MENTALE


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Molte diete si rivelano fallimentari e alimentano la frustrazione che spesso sfociano in depressione e nevrosi.
Dimagrire non è solo una questione di quanti chili si perdono o di quante calorie dobbiamo assumere giornalmente. LA VOGLIA DI DIMAGRIRE è strettamente legata alla nostra mente e alla nostra facoltà di pensare. Quando si è soddisfatti, il nostro organismo libera delle sostanze sorprendenti, le endorfine, che ci fanno sentire miracolosamente di buon umore.
Quando al contrario la nostra vita psichica è improduttiva e ci si ritrova a rimuginare sul passato, a fissarci sulle situazioni negative, l’organismo sviluppa una chimica che invece di elaborare ciò che forniamo attraverso il cibo, accumula e ci fa appesantire.
Per sbloccare la voglia di mangiare cibi ipercalorici bisognerebbe agire sul metabolismo mentale sgombrando la mente dai pensieri negativi e lasciare spazio ai sogni, ai desideri, alla voglia di apprendere, appassionarci alla vita e alle attività che ci fanno stare bene. Non si possono togliere i chili di troppo se prima non agiamo a livello mentale.
Abitudini, monotonie, convinzioni, banalità non consentono di attingere alle soluzioni creative, non ci fanno bruciare.
Il comportamento alimentare non può essere regolato solo da una dieta, unico trattamento disponibile per la riduzione del peso, fino a questo momento.
È dimostrato: il 65% delle persone che seguono una dieta recupera tutto il peso perduto nei 3 anni successivi.
Il comportamento alimentare è influenzato non solo da fattori biologici, ambientali e sociali, ma soprattutto da fattori psicologici, per dimagrire BENE e definitivamente esiste un setting mentale, un lavoro di testa: fatto di voglia e metodo.
Perdere peso è dunque anche una questione mentale, bisogna agire sul metabolismo mentale e lasciando spazio a sogni, desideri, facendo anche attività che ci fanno stare bene.
Dimagrire è una trasformazione che coinvolge interamente la persona quindi limitarsi a un approccio fisiologico, chimico e metabolico non basta. “Leggermente” rivoluziona il concetto di programma dimagrante.
Spostiamo l’interesse dai chili alla consapevolezza di sé, all’autenticità, alla capacità di esprimersi, di trovare piacere e libertà.
Ecco alcuni suggerimenti per attivare il metabolismo mentale:
·         Devi volerlo!
·         Obiettivi piccoli, ma costanti
·         Ascoltiamoci di più “siamo noi padroni del nostro corpo”
·         Allontanare le persone negative, quelle che non permettono di evolversi e che risucchiano l’energia
·         Essere meno rigidi con se stessi
·         Riposare e scaricare le tensioni
·         Praticare attività rilassanti come yoga e meditazione

lunedì 4 novembre 2019

IL CIBO COME COMPENSAZIONE EMOTIVA


·    Fame d’affetto. Mangiando cerchiamo di donarci amore come il bambino che succhia il latte dal seno materno. Solo se cambiamo il nostro modo di pensare, di stare con noi stessi e con gli altri possiamo dimagrire davvero.

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Il valore simbolico del cibo. Il cibo, nella sua funzione comunicativa, evocatrice di immagini e suggestioni esercita un effetto sulle nostre emozioni, aspetto su cui fa leva la pubblicità: “la tv ci suggerisce puntualmente ogni sera come cuocere in forno l’amore materno, come rinnovare la tradizione dei nonni, come risvegliare la seduzione, come rilassarsi con una bevanda, come diventare speciali grazie a un aperitivo”.

Risultato immagini per valore simbolico del cibo
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  Perché non sappiamo più chi siamo. Cerchiamo la nostra identità all’esterno anziché trovarla dentro di noi. Riscoprire se stessi, le proprie qualità, le proprie passioni, la propria unicità.

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  Pensieri rivolti al passato. Per dimagrire dobbiamo essere nel presente.


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Eccessiva forza di volontà. Chi ingrassa pensa di avere poca forza di volontà, ma è vero il contrario. Si ingrassa perché si è in lotta con se stessi, per “dover” essere conformi all’immagine che gli altri hanno di noi: una brava moglie, una brava madre, generosa, altruista, amata dagli altri…e così è tutto sotto controllo…tranne il cibo, unica sfera in cui “l’anima” troppo repressa si ribella.

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Troppo autocontrollo. Recenti scoperte della neurofisiologia dimostrano che ingrassano soprattutto le persone che avvertono il peso della routine o che vivono con pesantezza i loro impegni. Una vita priva di piaceri, ma vissuta con senso del dovere provoca eccessiva autocritica, malattie psicosomatiche, depressione e…tendenza a ingrassare. L’ipotalamo è la sede delle emozioni primordiali: la fame, la sete, la paura, la rabbia, il desiderio sessuale, ecc. che vanno tutte soddisfatte. Riscoprire il piacere: essere innamorati della vita, essere creativi, avere interessi, ridere e giocare.

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Rimandare la vita. La tendenza a pensare troppo a un futuro lontano agisce nell’ipotalamo come campanello d’allarme che si attiva per incamerare più calorie possibile per un eventuale periodo di letargo. Essere felici…adesso!

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Non ci amiamo abbastanza. Per affetto, quieto vivere, abitudine, difficoltà a imporsi, lasciamo decidere agli altri, ci lasciamo “invadere”… il grasso è una difesa dall’invadenza.

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 Siamo affamati di emozioni. Il malessere e il senso di vuoto portano a cercare una compensazione. I bisogni insoddisfatti, negati o rimossi, non scompaiono, ma continuano ad agire cercando altre vie di soddisfacimento.

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Dieta come rinuncia e sacrificio. Molte persone non riescono a iniziare o a portare a termine una dieta perché significa rinunciare alle “cose buone” e soprattutto al piacere  che alcuni cibi provocano sull’umore. Conviene porsi le seguenti domande: cosa non va nel mio stile di vita? Qual è il rapporto con me stesso e con l’ambiente?

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  Mettersi in gioco, rompere cattive abitudini.
  
Imparare a volersi bene
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mercoledì 16 ottobre 2019

Psicologia dell’essere a dieta


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Dimagrire è una trasformazione che coinvolge interamente la persona quindi limitarsi a un approccio fisiologico, chimico e metabolico, non basta. Noi di “Leggermente” abbiamo rivoluzionato il concetto di programma dimagrante. Spostiamo l’interesse dai chili alla consapevolezza di sé, all’autenticità, alla capacità di esprimersi, di trovare piacere e libertà. S’imparano a rimodellare i propri confini, ad attivare risorse latenti, a trasformare il modo in cui pensiamo noi stessi. I chili di troppo sono visti come riserva di forze da dispiegare, progetti da realizzare, desideri da comunicare. Il nostro è un percorso che vede la perdita di peso come naturale conseguenza dello sblocco di energie intasate dal punto di vista psicologico.
Gli studi indicano che il peso forma, dopo un programma dietetico, nella maggioranza dei casi non viene mantenuto a lungo. Riflettendo in termini emotivi, un regime alimentare appesantisce, richiama concentrazione, responsabilità, impegno, controllo. Trascina facilmente in una spirale infinita di tentativi e fallimenti, il famoso effetto yo-yo.
La causa degli insuccessi può non essere il tipo di dieta, i ritmi di vita, l’assenza di aiuto famigliare, ma l’approccio mentale al cibo, alla dieta e a tutto quello che ruota attorno.
Lo psicoterapeuta può essere un valido aiuto per tutte le persone che iniziano una dieta e per le quali la possibilità di mantenere un peso adeguato è un fattore fondamentale di benessere.
L’aiuto psicologico può stimolare la persona a trovare valide motivazioni interne per iniziare una dieta in caso di sovrappeso; sostenere la motivazione a continuare nel tempo un regime alimentare sano; aiutare a sviluppare un atteggiamento mentale utile a gestire il panorama alimentare.
Solitamente il lavoro di supporto alimentare è finalizzato a:
·         Modificare l’atteggiamento mentale sabotante: pensieri quali “Io sono fatta così”, “Sono grassa di costituzione”, “Mi piace mangiare e per me è impossibile rinunciare al cibo“, “In famiglia siamo tutti così”, ecc.
·         Intervenire a sostegno e sviluppo della motivazione personale: con i giusti esercizi possiamo trasformare il critico interiore in un formidabile alleato nella lotta contro le tentazioni culinarie.
·         Lavorare sugli aspetti emotivi implicati nell’alimentazione (stress, ansia, depressione, rabbia) nei casi alimentazione emotiva
·         Aumentare l’autostima, l’autoefficacia e la resilienza
·         Accrescere la consapevolezza alimentare
·         Imparare strategie di gestione dei momenti di fame e tentazioni alimentari
·         Imparare a mangiare con consapevolezza, attraverso interventi di Mindfulness specifici per gli aspetti alimentari, assaporando il cibo e tornando in contatto con il corpo e i segnali di sazietà.
Scoprire quale funzione svolge per noi il cibo (antidepressiva, calmante, ecc.) è fondamentale per poter modificare una cattiva abitudine. Ricordate che dietro un comportamento negativo vi è sempre un’intenzione positiva.
Anziché aderire a regole e programmi prescrittivi, risulta molto più funzionale riconnettersi con i propri segnali biologici e affidarsi a essi.


IMMAGINE CORPOREA

Il concetto di immagine corporea è stato oggetto d’interesse in primo luogo da parte dei neurologi, ambito in cui nasce tale concetto, e...