mercoledì 20 novembre 2019

COMFORT FOOD: QUANDO IL CIBO EMOZIONA E DIVENTA RICORDO


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Una petite madeleine e si risvegliano improvvisamente ricordi dell’infanzia. Così accade che un dolce francese diventi il catalizzatore dell’opera di Proust “A la recherche du temps perdu”. Oggi spesso il cibo perde il suo senso più stretto di alimento e diventa qualcosa d’altro: una ricerca di un momento perduto, di un attimo passato che, grazie al gusto, torna alla mente. Il comfort food innanzitutto è condivisione attraverso le papille gustative. Succede che il cibo diventi ricordo. Il cibo è quindi spesso veicolo di innamoramenti, ma anche il nutrire (e non l’essere nutriti) può far nascere sentimenti. Il cibo non è solo innamoramento, ma è anche aiuto importante nei momenti difficili e di maggior tensione.
Semplice e genuino o junk food e pieno di grassi, il comfort food spesso ci ricorda l’infanzia, ci coccola e scalda il cuore nei momenti “no” della nostra vita.
Da buoni italiani il nostro comfort food può essere la torta della nonna, il polpettone della zia, la minestrina della mamma, ma anche una grande coppa di gelato mangiata davanti alla TV o un hamburger pieno di grassi consumato camminando tra le vetrine di un centro commerciale.
È il cibo che gratifica, rassicura, consola, calma, a volte anestetizza i momenti di profonda tristezza.
Il concetto di comfort food è nato negli anni settanta in USA ed è piuttosto difficile da tradurre in italiano.
I comfort food sono sapori consolatori e spesso nostalgici e più che un cibo si può considerare una manna dal cielo, soprattutto dopo una giornata no.
Il comfort food è figlio della comfort zone, ovvero una condizione mentale in cui una persona agisce in uno stato di assenza di ansietà.
Ogni persona confida le proprie debolezze, sopperisce alle proprie mancanze in un piatto particolare, perché legato a sensazioni del tutto particolari.
Il cibo non rappresenta, per noi umani, soltanto un mero strumento di sopravvivenza fisica: assegniamo inevitabilmente tutto un complesso di significati sociali e affettivi al cibo, tant’è che, lo diceva già Levi-Strauss, ciò di cui ci nutriamo non è mai solo buono da mangiare, ma necessariamente anche “buono da pensare”.
Nella vita adulta, un buon indicatore della salute psicologica e della capacità di gestire le emozioni e gli stress non è data tanto dal tipo di strategia che adottiamo per sentirci meglio, ma soprattutto da quante modalità diverse e variegate possiamo adottare per affrontare le difficoltà e darci conforto. Tante attività possono essere di conforto e, se lo sono realmente, ci lasciano uno stato d’animo più sereno con il quale ci sentiremo più in grado di affrontare la situazione. Quando i comfort food rappresentano invece una dipendenza, dopo un temporaneo sollievo lasciano generalmente sensi di colpa.
In generale, quando siamo dipendenti dai comfort foods stiamo soltanto “mangiando” le nostre emozioni per non sentire ciò che ci disturba allontanandoci sempre più dal vero problema e mettendoci nelle condizioni più difficili per affrontarlo.
Quando il mangiare diventa il primo meccanismo per affrontare le emozioni, quando il primo impulso è quello di aprire il frigo perché siamo stressati, turbati, stanchi o arrabbiati, vuol dire che si è attivato un pessimo circolo vizioso in cui i sentimenti non vengono affrontati nel modo giusto.

domenica 10 novembre 2019

Il piacere del cibo, il cibo del piacere


Mangiare è uno dei piaceri della vita e, quando ci è possibile, consumiamo gli alimenti che ci piacciono. L'attrazione verso un alimento non è legata solo al suo sapore, ma dipende anche dalla fame che abbiamo, dai ricordi legati a quel cibo, dalle persone con cui eravamo..., ma non è solo questione di gusto o memoria, è stato dimostrato che mangiare i propri cibi preferiti può stimolare il rilascio di ß-endorfine che esaltano l'umore.

In altre parole, l'alimento giusto, al momento giusto, con la giusta compagnia ci fa sentire bene.



A volte, però, ci colgono voglie alimentari o il desiderio ardente di mangiare un cibo in particolare, sembra, secondo un sondaggio, che le persone che hanno riferito di essere prese da voglie alimentari varino tra il 60 e il 90%, inoltre è da notare che uomini e donne attribuiscono, a queste voglie, comportamenti ed emozioni contrastanti: gli uomini pensano che le voglie alimentari scaturiscano dalla fame, mentre è più facile che le donne le attribuiscano ad umori negativi come la noia e lo stress. Le donne sono inoltre più portate a provare sentimenti negativi, quali i sensi di colpa e i rimorsi, se hanno ceduto alla tentazione.


Spesso, però, il desiderio di un certo alimento nasce dal fatto che quel cibo in particolare è considerato vietato, come il cioccolato, e se quell'alimento viene evitato consapevolmente (perché fa ingrassare!!!), il desiderio di mangiarlo diventa sempre più forte fino a quando non si cede alla tentazione, ma dopo averlo mangiato, ovviamente, iniziano i sensi di colpa e il rimorso e si decide di non mangiarlo MAI più.


Gli effetti dei singoli nutrienti e degli alimenti che sono stati ampiamente studiati, ma, fino ad ora, non è stato raggiunto un accordo chiaro riguardo l'effetto di questi nutrienti sulle nostre reazioni comportamentali, per esempio, il numero di ricerche che dimostrano che l'assunzione di carboidrati determina sensazioni di rilassatezza e sonnolenza è uguale a quello degli studi che non trovano alcuna prova di tale influenza.

È, inoltre, possibile che le persone reagiscano in modo diverso a determinati nutrienti come succede, ad esempio, con la caffeina: la sensibilità alla caffeina sembra variare da individuo a individuo, alcune persone possono bere nell'arco di poche ore diverse bevande contenenti caffeina e non avere alcun effetto, mentre altre avvertono effetti stimolanti anche dopo una sola dose.
Quindi, mentre potrebbe esserci un'interazione tra il cibo e la chimica del corpo, non dobbiamo sottovalutare l'impatto psicologico e i condizionamenti che possono derivare dal nostro comportamento alimentare, per esempio, se il consumo di un particolare alimento o bevanda di solito migliora il nostro umore, questo potrebbe accadere perché ci aspettiamo tale reazione anche se non è presente in quel cibo alcun ingrediente che la stimoli?



Non ci sono dubbi sul fatto che il sapore del cibo e il piacere di mangiare possano migliorare l'umore e il benessere. Ma i notevoli effetti positivi derivanti dal mangiare "cibi dannosi ma buoni" sono spesso minati dal senso di colpa, per cui la cosa più importante è liberarsi da ogni senso di colpa relativo al mangiare. 
Per fare ciò le persone devono risolvere il loro rapporto con il cibo e sviluppare comportamenti alimentari sani e realistici...ecco quello che offre il progetto LeggerMente il tuo peso forma per sempre!



mercoledì 6 novembre 2019

Dimagrire è una questione di metabolismo MENTALE


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Molte diete si rivelano fallimentari e alimentano la frustrazione che spesso sfociano in depressione e nevrosi.
Dimagrire non è solo una questione di quanti chili si perdono o di quante calorie dobbiamo assumere giornalmente. LA VOGLIA DI DIMAGRIRE è strettamente legata alla nostra mente e alla nostra facoltà di pensare. Quando si è soddisfatti, il nostro organismo libera delle sostanze sorprendenti, le endorfine, che ci fanno sentire miracolosamente di buon umore.
Quando al contrario la nostra vita psichica è improduttiva e ci si ritrova a rimuginare sul passato, a fissarci sulle situazioni negative, l’organismo sviluppa una chimica che invece di elaborare ciò che forniamo attraverso il cibo, accumula e ci fa appesantire.
Per sbloccare la voglia di mangiare cibi ipercalorici bisognerebbe agire sul metabolismo mentale sgombrando la mente dai pensieri negativi e lasciare spazio ai sogni, ai desideri, alla voglia di apprendere, appassionarci alla vita e alle attività che ci fanno stare bene. Non si possono togliere i chili di troppo se prima non agiamo a livello mentale.
Abitudini, monotonie, convinzioni, banalità non consentono di attingere alle soluzioni creative, non ci fanno bruciare.
Il comportamento alimentare non può essere regolato solo da una dieta, unico trattamento disponibile per la riduzione del peso, fino a questo momento.
È dimostrato: il 65% delle persone che seguono una dieta recupera tutto il peso perduto nei 3 anni successivi.
Il comportamento alimentare è influenzato non solo da fattori biologici, ambientali e sociali, ma soprattutto da fattori psicologici, per dimagrire BENE e definitivamente esiste un setting mentale, un lavoro di testa: fatto di voglia e metodo.
Perdere peso è dunque anche una questione mentale, bisogna agire sul metabolismo mentale e lasciando spazio a sogni, desideri, facendo anche attività che ci fanno stare bene.
Dimagrire è una trasformazione che coinvolge interamente la persona quindi limitarsi a un approccio fisiologico, chimico e metabolico non basta. “Leggermente” rivoluziona il concetto di programma dimagrante.
Spostiamo l’interesse dai chili alla consapevolezza di sé, all’autenticità, alla capacità di esprimersi, di trovare piacere e libertà.
Ecco alcuni suggerimenti per attivare il metabolismo mentale:
·         Devi volerlo!
·         Obiettivi piccoli, ma costanti
·         Ascoltiamoci di più “siamo noi padroni del nostro corpo”
·         Allontanare le persone negative, quelle che non permettono di evolversi e che risucchiano l’energia
·         Essere meno rigidi con se stessi
·         Riposare e scaricare le tensioni
·         Praticare attività rilassanti come yoga e meditazione

lunedì 4 novembre 2019

IL CIBO COME COMPENSAZIONE EMOTIVA


·    Fame d’affetto. Mangiando cerchiamo di donarci amore come il bambino che succhia il latte dal seno materno. Solo se cambiamo il nostro modo di pensare, di stare con noi stessi e con gli altri possiamo dimagrire davvero.

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Il valore simbolico del cibo. Il cibo, nella sua funzione comunicativa, evocatrice di immagini e suggestioni esercita un effetto sulle nostre emozioni, aspetto su cui fa leva la pubblicità: “la tv ci suggerisce puntualmente ogni sera come cuocere in forno l’amore materno, come rinnovare la tradizione dei nonni, come risvegliare la seduzione, come rilassarsi con una bevanda, come diventare speciali grazie a un aperitivo”.

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  Perché non sappiamo più chi siamo. Cerchiamo la nostra identità all’esterno anziché trovarla dentro di noi. Riscoprire se stessi, le proprie qualità, le proprie passioni, la propria unicità.

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  Pensieri rivolti al passato. Per dimagrire dobbiamo essere nel presente.


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Eccessiva forza di volontà. Chi ingrassa pensa di avere poca forza di volontà, ma è vero il contrario. Si ingrassa perché si è in lotta con se stessi, per “dover” essere conformi all’immagine che gli altri hanno di noi: una brava moglie, una brava madre, generosa, altruista, amata dagli altri…e così è tutto sotto controllo…tranne il cibo, unica sfera in cui “l’anima” troppo repressa si ribella.

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Troppo autocontrollo. Recenti scoperte della neurofisiologia dimostrano che ingrassano soprattutto le persone che avvertono il peso della routine o che vivono con pesantezza i loro impegni. Una vita priva di piaceri, ma vissuta con senso del dovere provoca eccessiva autocritica, malattie psicosomatiche, depressione e…tendenza a ingrassare. L’ipotalamo è la sede delle emozioni primordiali: la fame, la sete, la paura, la rabbia, il desiderio sessuale, ecc. che vanno tutte soddisfatte. Riscoprire il piacere: essere innamorati della vita, essere creativi, avere interessi, ridere e giocare.

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Rimandare la vita. La tendenza a pensare troppo a un futuro lontano agisce nell’ipotalamo come campanello d’allarme che si attiva per incamerare più calorie possibile per un eventuale periodo di letargo. Essere felici…adesso!

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Non ci amiamo abbastanza. Per affetto, quieto vivere, abitudine, difficoltà a imporsi, lasciamo decidere agli altri, ci lasciamo “invadere”… il grasso è una difesa dall’invadenza.

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 Siamo affamati di emozioni. Il malessere e il senso di vuoto portano a cercare una compensazione. I bisogni insoddisfatti, negati o rimossi, non scompaiono, ma continuano ad agire cercando altre vie di soddisfacimento.

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Dieta come rinuncia e sacrificio. Molte persone non riescono a iniziare o a portare a termine una dieta perché significa rinunciare alle “cose buone” e soprattutto al piacere  che alcuni cibi provocano sull’umore. Conviene porsi le seguenti domande: cosa non va nel mio stile di vita? Qual è il rapporto con me stesso e con l’ambiente?

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  Mettersi in gioco, rompere cattive abitudini.
  
Imparare a volersi bene
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IMMAGINE CORPOREA

Il concetto di immagine corporea è stato oggetto d’interesse in primo luogo da parte dei neurologi, ambito in cui nasce tale concetto, e...